Una Helles d’osmosi
Ultimamente sto spingendo molto sull’acqua, sia qui sul blog che in birrificio. Quest’anno, ad inzio stagione brassicola, ho voluto fare una diretta nella quale spiegavo le novità in arrivo e di cosa avrei parlato sul sito. Stavo brassando una Helles, la prima birra nella quale mi concentravo esclusivamente sull’acqua. Fino a quel momento mi ero solamente limitato allo studio; era il momento di passare ai fatti anche perché, di tutto il resto, ero già pienamente soddisfatto.
Le precedenti versioni
Quando incominciai a brassare Helles, partii con l’idea di una Keller. Poi il risultato fu troppo limpido, troppo pulito, troppo in linea con lo stile Helles per non cambiare il riferimento in etichetta. Insomma se mi chiedete di brassare una Keller non ne sono capace manco lontanamente, ma una Helles sì. E da quel momento ho continuatio a brassare questo stile, aggiustando di volta in volta qualche piccola sbavutura. La costanza, in questo caso, mi ha premiato.
La ricetta finita non è complicata e prevede l’utilizzo di buone materie prime: un malto che possa donare una certa rusticità nel panificato, un buon luppolo da amaro e un’acqua piuttosto scarica. Perciò, per la prima prova con acqua di osmosi ho tenuto ogni cosa esattamente tale e quale alla precedente versione. Alla fine dei conti, mi interessava solamente sperimentare che porcheria avrei prodotto con un’acqua ricostruita a tavolino.
La ricetta
- Nome: Arianna
- Stile: Helles
- Metodo: BIAB
- OG: 1047
- FG: 1011
- ABV: 4,7%
- IBU: 19
- EBC: 6
Il grist ha visto l’utilizzo di Pilsner per la quasi totalità del malto. Ovviamente stiamo parlando di un prodotto tedesco. Era previsto l’ausilio di un malto speciale al fine di donare complessità ma, ahimé, ero partito in ritardo e mi sono arrabattato all’ultimo preprando gli ingredienti la mattina stessa (non come mio solito, insomma) per poi scoprire all’ultimo che avevo finito proprio quel malto speciale lì. Alleluja! Di soluzioni alternative per correre ai ripari non ne avevo voglia, dunque mi sono accontentato di tutto Pils. Non proprio come da progetti, insomma.
Come luppolo ho usato il Magnum per raggiungere le IBU prefissate. Semplice, veloce, pulito.
Il lievito è il sempreverde secco della fermentis, affidabile e con qualche nota sporca in più del suo fratello-gemello. La quale, a tenerla sotto controllo, dona carattere.
La fermentazione è filata liscia a 10°C fino a circa la metà o poco più dell’attenuazione, dopodiché al solito: trasferimento in keg, valvola di spunding e innalzamento graduale di temperatura fino al diacetil rest. Lagherizzazione per una sola settimana e via.
L’acqua
Forse ho un po’ esagerato, lo ammetto. Il risultato voleva essere un’acqua di partenza a 0 μS/cm… e così è stato. All’epoca stavo ancora sperimentando, mi stavo documentando e raccoglievo le informazioni conclusive. Purtroppo non sapevo ancora che il passaggio del permeato attraverso resine deionizzanti per composti quali Silicati, NO3 e PO3 fosse sconsigliato per il consumo umano. Un approfondimento in merito l’ho già fatto nell’apposito articolo. Perciò sono partito da un’acqua vergine, di quelle che madre natura non crea. Di lì ho integrato con gli appositi sali per ottenere il seguente profilo:
- Ca: 50 mg/l;
- Mg: 10 mg/l;
- Na: 0 mg/l;
- SO4: 25 mg/l;
- Cl: 50 mg/l;
- HCO3: 20 mg/l.
Il risultato
All’aspetto ci siamo. Il colore è biondo limpido, la schiuma putroppo lievemente evanescente ma sempre a bolla fine. Forse è mancato qualcosa che andasse ad aiutare il Pils.
A naso il risultato è mielato e rustico. Lievissima crosta di pane, un pelo zolfo e diacetile ad essere pignoli. Soddisfatto sì, ma ho sentito nasi più interessanti da stile.
In bocca è una buona birra. Semplice, efficace e beverina. Troppo semplice in effetti: pecca in mancanza di carattere. Sopra ogni cosa regna un panificato lieve e gli altri sapori sono quasi prossimi allo zero, quello da luppolo incluso.
Le sensazioni boccali riassumono al pieno questo lotto: niente.
Capiamoci, la birra non ha difetti di alcun tipo ma non ha nemmeno pregi. Si sente che è un buon prodotto artigianale ma rimane apatica, totalmente priva di qualsivoglia aspetto che spicchi sopra agli altri. Una birra da dimenticare: cosa che, tra l’altro, non è per niente difficile.Se l’avessi prodotta agli inizi della mia attività casalingo-brassicola mi sarei gasato un casino (per dirla alla buona) ma ora cerco altro, oltre all’assenza di difetti: un qualcosa che mi faccia ricordare in positivo una birra bevuta. E questa qui non ha nulla.
I colpevoli?
Sicuramente nel mirino c’è l’acqua, forse troppo scarica persino per una Helles. Poi un rapporto solfati-cloruri sicuramente da rivedere, poco magnesio e fin troppi pochi bicarbonati. Con questi ultimi bisognerebbe andare molto cauti, lo so, ma almeno aumentare qualcosina è d’obbligo.
Poi il malto. Ricetta troppo semplice, grist fin troppo prevedibile. Questo è stato un errore dovuto in parte alla mia scarsa organizzazione dopo la “pausa lavorativa” estiva. Sicuramente se dovesse ricapitare (mi auguro di no) avrò la lucidità di mischiare perlomeno due o più tipologie di Pilsner differenti, sperando di ottenere, così facendo, maggior complessità
Non abbiamo finito di parlare di Helles, lo prometto.