Imbottigliare in contropressione: le basi
Parlerò del mio impianto di imbottigliamento, l’ho promesso. Vi ho lasciato pure un video dove mostro come faccio, ora è arrivato il momento di un articolo più approfondito. Suddivideremo questo topic in due: una parte teorica, questa, e una dedicata all’autocostruzione, in futuro.
Risale ad Aprile 2018 il mio vademecum per la contropressione. Da allora ne è passata di birra sotto i ponti. Lì accennai anche all’imbottigliamento, ora è giunto il momento di parlarne nel dettaglio ed esaurire così la parte più corposa sulla contropressione, chiudendo il cerchio.
L’obiettivo
Alla fine ciò che vogliamo raggiungere è semplice. Come sempre vogliamo evitare di introdurre ossigeno per migliorare la stabilità e la durata del nostro prodotto. Dobiamo dunque, di riflesso, evitare qualsiasi contatto della nostra birra con l’aria, se non al momento del consumo. Per fare ciò è abbastanza semplice: basta un contenitore chiuso ed ermetico in grado di sopportare la pressione.
Il problema sorge negli spostamenti: va eliminata aria dai tubi e dai contenitori, di uscita ed entrata.
La CO2
Ciò viene ottenuto, per quanto riguarda il contenitore di entrata, in due modi:
- Creando il vuoto, attraverso un’apposita pompa;
- Saturando con un gas inerte, nel nostro caso anidride carbonica.
Il primo metodo è molto efficace ma richiede strumentazione in più e non è, inoltre, applicabile ovunque (tubi, raccordi etc…) con facilità. Tutti i birrai, con pompa o senza, devono comunque passare anche attraverso una bombola di CO2. La Co2 è il gas che rende frizzante la nostra birra e viene prodotta dal lievito durante la fermentazione.
La bombola, oltre che pratica, è economica: acquistatane una idonea è facile ricaricarla ad un costo irrisorio, a seconda del fornitore. Va sottolineato tuttavia che, in barba a ciò che si dice, pure la CO2 alimentare non è completamente pura. Conterrà un microscopica parte di altri gas, risibile certo, ma pur sempre presente.
Le bottiglie
Con fusti, fermentatori isobarici e tubi il discorso è abbastanza semplice: si riempie di gas, si sfiata, si ripete e infine si satura nuovamente. I contenitori e i tubi con appositi raccordi possono essere tranquillamente staccati dalla linea gas in quanto chiusi ermeticamente. Con una bottiglia non è così. Senza il sigillo di un tappo (corona o meccanico) la bottiglia comunica continuamente con l’esterno, venendo così a contatto con l’aria.
Ecco dunque che la prima e più importante funzione di una imbottigliatrice dovrebbe essere quella di isolare la bottiglia dall’esterno, una volta applicato il becco di riempimento al collo della bottiglia.
Sia in ambito casalingo che industriale l’elememento che garantisce questa tenuta è solitamente una piccola guarnizione, generalmente in silicone. Diversi store online ne vendono di adatte allo scopo, solitamente anche come guarnizioni per alloggiare il gorgogliatore alle bottiglie. Non costano un’esagerazione ed è sempre meglio averne qualcuna di scorta.
La preparazione delle bottiglie
Per eliminare l’aria e dunque l’ossigeno dalle bottiglie appena inserite nell’imbottigliatrice si procede tramite vuoto o ripetute saturazioni o desaturazioni.
Nel primo caso è necessario un doppio circuito: uno che va alla pompa, al quale se ne aggiunge uno che arriva dalla bombola di CO2, necessaria per saturare di gas e (meglio abbondare) fare un ulteriore ciclo di desaturazione.
Una volta preparata così la bottiglia essa sarà in pressione, pronta per essere riempita. Attenzione ad usare vetro resistente e a lavorare sempre a pressioni di sicurezza: in caso di esplosione potreste ferirvi gravemente. Stiamo pur sempre parlando di vetro. Utilizzate dei dispositivi di protezione individuale se non vi sentite sicuri. In caso di problemi non ve ne pentirete.
C’è chi satura le bottiglie ad una pressione leggermente inferiore rispetto a quella di riempimento (che è poi quella a cui si trova la birra), dicendo che si fa meno schiuma. C’è chi lo fa alla stessa pressione del liquido, come me.
Una volta eliminato l’ossigeno dalla bottiglia vuota e saturata saremo pronti per passare alla successiva fase: il riempimento. CIò comporta anche un passaggio fisico: quello dalla linea del gas verso il liquido.
Il riempimento
La birra gasata è dotata di una propria pressione e, dunque, di una spinta. Se gliene viene data la possibilità, visto che la natura è (come abbiamo già detto) economica, tenderà a spostarsi verso una zona con minor pressione fino a che entrambe non saranno in equilibrio. Sfruttando questa proprietà possiamo riempire le nostre bottiglie.
Desaturando mano a mano che la bottiglia si riempie, la birra verrà richiamata dal contenitore di uscita, fusto o fermentatore che sia.
Le imbottigliatrici sono dunque dotate di una terza linea, adatta allo sfiato della pressione e della schiuma che si formerà in bottiglia.
Il becco di riempimento potrebbe essere studiato in due maniere differenti.
Potrebbe essere presente un tubo che va a toccare il fondo della bottiglia, garantendo (così facendo) minore turbolenza e un riempimento più gentile. Ciò si dovrebbe tradurre in una minor formazione di schiuma, sempre una rogna durante il riempimento. Oppure possiamo trovare un tubo o un diffusore che fa scorrere la birra lungo le pareti della bottiglia in modo da rendere più omogenea la distribuzione del gas e uno sfiato più efficiente, nonché una maggiore versatilità con tutti i formati di bottiglie.
Fondamentale è applicare un’adeguata contropressione al contenitore di uscita, per evitare che la birra si sgasi sempre più. La pressione corretta da impostare è la stessa del liquido. Ciò è utile e quanto mai indispensabile anche nel caso in cui dovessimo imbottigliare in contropressione birra sgasata che andrà a rifermentare in bottiglia.
Per minimizzare la formazione di schiuma è inoltre consigliabile imbottigliare birra fredda, sui 2°C.
La desaturazione
Una volta raggiunta la cima non si dovrebbe mai togliere la bottiglia dalla macchina (a meno che non vogliate farvi la doccia) ma desaturare il tutto, completamente. Questo passaggio viene solitamente fatto attraverso lo sfiato di cui sopra.
Durante il passaggio noterete una risalita delle bollicine di CO2 e una lievissima formazione di schiuma. Quando il tutto si sarà stabilizzato potete rimuovere la bottiglia dal becco in tutta sicurezza. Non rimane che tappare.
Ci sarebbe, tuttavia, un ulteriore passaggio da eseguire, per eliminare l’aria che entrerà a questo punto inevitabilmente nella bottiglia e dunque quel poco di ossigeno di testa. Si chiama Jetting ed ho già pubblicato una guida specifica.
La struttura
Eseguire tutte queste operazioni risulta ostico se l’imbottigliatrice non è legata ad una struttra che la sorregga ed agevoli pure le operazioni di carico e scarico bottiglie. Esistono varie soluzioni, più o meno pratiche: con una o più riempitrici in serie, mobili o fisse, ruotabili…
Nel prossimo articolo esamineremo la mia, autocostruita e poi, forse, potremmo pure parlare di quelle già pronte all’uso.
Per oggi è tutto, alla prossima!