Solfati/cloruri: un esempio inglese
Ho un rapporto viscerale, profondo ed educativo con l’inghilterra. Le sue birre hanno rappresentato per me fonte di ispirazione e compagnia stabile durante il mio soggiorno là. Ci ho pure scritto qualche riflessione che, col tempo, si dimostra sempre più attuale.
Le bitter, in particolare, hanno rappresentato tanto per me e qualche spunto per un paio di ricette l’ho messo in saccoccia, di ritorno dalla terra d’albione.
Le bitter come le intendo io
Scrivere una ricetta è prima di tutto un esercizio mentale, come spiegai a suo tempo. Perciò sono partito, as always, da lì. Non che prima di andare in inghilterra non brassassi birre di stampo inglese, intendiamoci, ma erano tutt’altra cosa. Descriverlo a parole in un articolo è poco efficace: bisogna andare là e provare per credere.
In ogni caso, mi sono fatto un’idea ben precisa: una carbonazione pressoché minima, una facilità di bevuta disarmante e un profilo maltato molto interessante seppur sottotono rispetto a molte altre birre. Grado alcolico generalmente basso, scorrevolezza nella bevuta e un’impronta luppolata più o meno accentuata. Nel mio caso, preferisco le versioni dove il luppolo emerge maggiormente ma (attenzione!) non a naso o in amaro, bensì a sapore. Qualche esterino da lievito ci sta ed è ben gradito, a mio gusto. Ci sono poi versioni ottime dove può emergere un lieve terroso (ma non, importante, fondo di posacenere) o un profilo interessante di frutta rossa.
Tutto ciò si traduce in una ricetta ben precisa che vedremo nel prossimo capitolo. Alla maggior parte di voi questa birra non piacerà perché è… beh, è cosa sciacquetta.
La ricetta
- Nome: Giasone
- Stile: Bitter
- Metodo: BIAB
- OG: 1047
- FG: 1009
- ABV: 5%
- IBU: 35
- EBC: 40
Come malti ho utilizzato Pale di base, Crystal chiaro al 10%, un 3% abbastanza scuro e un tocco di chocolate per aggiustare il colore. La macinatura non è stata proprio fine, l’ho messa in conto ed ho inserito ad inizio ammostamento un paio di etti in più di malto. Fiocchi non ne servono, sono solo aggiunte inutili.
Come luppolo Target da amaro per ben 25 IBU e poi tutto Goldings in aroma e qualcosina pure a fiamma spenta. Dry hop? Certo, per 1 grammo litro dopo quattro giorni di fermentazione.
Il lievito in questione è il London Ale I della Whitelabs. Sulla carta viene indicato per birre un po’ più alcoliche di questa ma il profilo è molto interessante e in più la mia idea era di tirare fuori qualche estero.
La fermentazione è stata infatti condotta a 17°C per i primi due giorni, successivamente alzata a 18 gradi al terzo giorno e poi trasferita in keg con la valvola di spunding al quarto giorno. Da lì a 19° innalzati gradualmente nell’arco di 36 h a 21. Dopo una settimana e mezzo dalla cotta ero pronto per l’abbattimento al freddo di 2 giorni. Troppo presto? Sicuramente, come vedremo tra qualche riga.
L’acqua
Da parecchio ormai sto studiando. E da una stagione brassicola ormai parto da acqua a zero e la ricostruisco coi sali, come da mio protocollo. Per approfondire esiste un tag: acqua.
Per questa Bitter ho voluto seguire il seguente profilo:
- Ca: 120 mg/l;
- Mg: 35 mg/l;
- Na: 25 mg/l;
- SO4: 150 mg/l;
- Cl: 50 mg/l;
- HCO3: 125 mg/l.
Come vediamo i solfati sono in netta superiorità rispetto ai cloruri. Siamo ad un 3:1. Storicamente infatti le acque di Burton sono ricche di solfati. Ma non è questo che mi ha fatto decidere per questo profilo, no. Ciò che mi ha spinto ad agire era il taglio leggermente amaro e netto che nella mia testa doveva avere il luppolo in questa interpretazione.
L’amaro nelle bitter inglesi
Come sembrerebbe suggerire il nome, le bitter sono amare. Ma… è vero?
Di certo i dati sembrerebbero suggerire di sì: rispetto a molte consorelle tipo mild, old ale e simili le Bitter hanno più IBU. Nonostante ciò, la sensazione generale e il mouthfeel bevendo queste birre in un tipico pub inglese (servizio a pompa) non è riconducibile affatto ad una birra amara: provare per credere; poi se ne può tranquillamente parlare con tanto di nomi, cognomi e dati alla mano. Fino ad allora, la mia opinione non è smentibile: ero tutti i giorni al pub a farmi ridere dietro chiedendo mezze pinte pur di provare il maggior numero di birre possibili senza ubriacarmi.
Tantissime bitter inglesi (non tutte, veh) oggi come oggi hanno un amaro rotondo e bilanciato col resto. Essendo birre relativamente leggere sono equilibrate e percepite solamente lievemente più amare delle altre (come vedremo tra poco). Poi, ovvio, potremmo pure tirare in ballo il BJCP distinguendo i vari tipi di Bitter: ordinary, best, superbest, bestfriend, extra special, cazzi e mazzi ma non è questo il luogo o il tempo. Basti solo dire per dovere di cronaca che (come tutto nella vita) alcuni confini sono piuttosto labili e ci sono contaminazioni in entrambi i sensi. Per dirne una, sempre il BJCP parlava di extra special e di English Pale Ale, per poi far sparire quest’ultima dalle ultime linee guida.
Insomma, la tendenza generale è su birre leggere e non amare… manco per il ciuffolo che sono amare!
Il risultato
Detto questo, io la mia bitter l’ho bevuta e mi è piaciuta, per carità. Tuttavia mi sono potuto godere solamente un paio di bottiglie di questa birra prima dello stop forzato fino ad inizio giugno. Buonissima, certo, ma qualcosa non mi convinceva fino in fondo.
Solitamente bevo le prime mie birre con la pancia, poi quando ho tempo, modo e voglia mi metto in tranquillità e in silenzio a buttare giù qualche impressione con una scheda sotto.
Per fortuna c’è stato il buon Frank di Brewing Bad al quale ho spedito un cartone di birre per un esperimento (a breve parleremo anche di questo). Unendo l’utile al dilettevole ci ho infilato in mezzo un paio di altre bottiglie e tra queste c’era anche lei, la Bitter. Perciò quanto descritto di seguito è farina del suo sacco o, meglio, dei suoi sensi.
Aspetto ci stiamo. Buona limpidezza anche se è lievemente velata. Buon colore. Schiuma abbondante, si vede che è sovracarbonata.
A naso è piacevole: mix di frutta rossa, caramello, nocciola e un lieve fruttato. Pure lieve pera.
In bocca una bella birra. Buona base maltata, bella nocciola e caramello che non stucca. Ha un buon corpo (sempre nei limiti di una bitter). Il lievito ha lavorato bene ma la bevuta viene rovinata dall’amaro che si piazza in primo piano, pure sopra al malto.
Le sensazioni boccali purtroppo non sono delle migliori. Perché? Prima di tutto per un amaro ruvido, importante e molto lungo. Anche se Frank è stato gentile, è un amaro sgraziato, persino per una IPA. E concordo. Poi sicuramente avrà inciso un poco anche la carbonazione un po’ sopra le righe (la birra è ripartita in bottiglia, evidentemente). A parte l’amaro il finale di nocciola rimane. Peccato per l’amaro che rovina.
E questo amaro?
Sicuramente c’è qualche IBU di troppo… e sono d’accordo. Magari potevo calare un po’ la mano a 6o minuti, ovviamente. Ma qui se c’è da trovare un vero colpevole, questo è a mio avviso nell’acqua usata per la birrificazione.
I cloruri potrebbero andare anche bene, ok, ma andrebbero abbassati i solfati. E dunque, di conseguenza, io abbasserei le aggiunte di solfato di calcio e solfato di magnesio. Bisogna pure notare, a tal proposito, che pure il magnesio potrebbe contribuire ad aumentare le senzazioni amare.
Di più per il momento non mi sbilancio, per non condizionare Frank nei successivi assaggi. Cosa accadrà adesso? Sicuramente tornerò a parlare di solfati-cloruri, anche da un punto di vista più chimico, ma per il momento mi limito a consigliare a chiunque di andare cauti coi solfati e non solo nelle bitter. Iniziate, se proprio volete farla strana, con un 2 e poi, in caso, aumentate di un poco.
Per le bitter invece? Ci sono moltissimi birrai che, al contrario, sbilanciano più in favore dei cloruri. E a ragion veduta.
E allora perché bitter?
Io una mia idea me la sono fatta e ve la espongo. Anche qui, come sopra. Andate in inghilterra nei pub seri (ovviamente quando tutto questo covid sarà finito) e bevete.
Lì ci sono moltissime lager, vi avverto (globalization, baby). All’infuori di ciò possiamo trovare porter, a volte qualche stout e poi birre che (etichettate sotto vari stili) riconducono tutte più o meno allo stesso profilo: corpo praticamente assente, carbonazione lieve, base maltata leggera (sono chiare, infatti) e lieve sapore da luppolo. Non sono bitter o mild, birre anch’esse omnipresenti almeno in un paio di pompe. Se volessimo birre non scure leggermente più amare, dunque, che potremmo fare? Prendere una bitter, ovviamente. Forse oggi come oggi vengono chiamate bitter perché si discostano, in inghilterra, da birre simili ma con un amaro praticamente assente? Forse.
Dunque, in soldoni, le Bitter di amaro hanno soltanto il nome.
Pochi solfati dunque e non solo nelle Bitter.
Potreste rovinare una birra di per sè valida… vi parlo per esperienza.