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Acqua e birra: gli ioni fondamentali

L’acqua è un ingrediente chiave: costituisce in media il 94% della birra finita. Ecco, l’ho detto.

Andiamo a vedere quali sono gli ioni fondamentali dell’acqua di partenza e l’effetto sul risultato finito. Approfondimenti specifici e monografici arriveranno in seguito.

Premessa

Questo tassello si va ad inserire in un discorso più ampio che sto facendo ultimamente qui sul blog. Esso è funzionale soprattutto se declinato al mio metodo per trattare l’acqua di birrificazione. Alla fine gli ioni e gli elementi che ci interessa conoscere sono veramente una manciata.

Eviterò di parlare in maniera troppo settoriale: in primis perché non ne ho le competenze né tantomeno la capacità, poi per facilitare la comprensione a tutti i birrai, sia i più smaliziati che i neofiti. Rimane il fatto che parecchi termini o concetti che di seguito darò per scontati possono essere facilmente recuperati da tutti. Ho scritto un articolo, “Lezioni di chimica”, dove snocciolo in maniera approfondita e il più corretta possibile quanto vi servirà per comprendere questa piccola guida alla perfezione. Potete andarlo a recuperare quando volete.

Potete fare birra senza sapere quanto andrò a scrivere di seguito? Certo. Questo non è decisamente un argomento entry-level, ma è appagante e redditizio.

Breve panoramica

Abbiamo capito come regolare PH, amaro e SG. Abbiamo preso dimestichezza con le aggiunte di acido alimentare in ammostamento, con phmetri e termometri. Computer, termostati e PID sono ormai pane per i nostri denti. Bene, lasceremo da parte tutte le ultime derive tecnologiche per concentrarci su quelle matematiche, sulla carta e sulla penna, ancora prima di accendere il gas.

Ogni acqua porta con sé altri elementi disciolti al suo interno. Alcuni sono desiderabili per noi birrai, altri meno. Non parleremo del secondo gruppo, ma del primo. In questo si contano 6 ioni fondamentali:

  1. Calcio;
  2. Magnesio;
  3. Sodio;
  4. Zolfo come solfato;
  5. Cloro come cloruro;
  6. Carbonio, sotto forma di carbonati.

Tali elementi possono essere già presenti nella nostra acqua ma, per raggiungere il risultato desiderato, dovremmo quasi sicuramente andare ad aggiungerne (ovviamente partendo da un’acqua molto scarica).

Le aggiunte vengono effettuate sotto forma di sali. Ho spiegato nelle lezioni (cfr. un capitolo più sù) che la natura tende all’equilibrio e perciò, per forza di cose, ad uno o più anioni (carica negativa) corrispondono uno o più cationi (carica positiva). I composti così ottenuti sono, appunto, i sali. Dunque è impossibile aggiungere uno ione senza introdurre lo ione di carica ad esso opposta. Di ciò parleremo più nel dettaglio in un articolo dedicato ai sali.

Calcio

Esso ha numero atomico 20 e simbolo Ca. Tra gli elementi più abbondanti nella crosta terrestre e nel nostro corpo, viene classificato come metallo. È uno ione alcalino, dunque con carica positiva. Ad essere più precisi, solitamente possiede due cariche positive. Non che lo dobbiate assaggiare (non fatelo), ma è insapore.

Il suo ruolo in ammostamento è tra i primari in quanto, reagendo con i fosfati (PO4) naturalmente presenti nel malto, contribuisce ad abbassare il pH di mash. Inoltre riesce a favorire, anche grazie a tale abbassamento, l’attività degli enzimi durante questo step. Di natura fondamentale, lo ione calcio, contribuisce pure a tre tipi di precipitazione: la prima in seguito alla coagulazione proteica, la seconda alla flocculazione del lievito e infine dopo che si sono formati gli ossalati di calcio. L’acido ossalico, per farla breve, è un composto naturalmente presente nei vegetali e tossico per il nostro organismo, in quanto (legandosi con altri minerali) si può accumulare con facilità. Il calcio non ci fa trovare gli ossalati nella birra finita, insomma.

Generalmente nell’acqua di birrificazione viene tenuto in intervalli che vanno dalle 50 alle 200 ppm. In quantità minori, può esser insufficiente per una fermentazione ottimale, in quantità maggiori (anche se in sé è insapore) potrebbe contibuire a rendere la birra finita minerale di sapore.

Magnesio

Con numero atomico 12 e simbolo Mg, il magnesio si inserisce sulla falsariga del calcio: un metallo alcalino-terroso presente in grandi quantità sulla crosta terrestre e, di riflesso, pure in acqua dolce ma soprattutto salata. Esso è uno ione dall’elevatà reattività e dunque si può trovare in natura legato con tantissimi elementi. A noi interessa soprattutto il sale di Epsom (solfato di magnesio) ma di ciò andremo a parlare in altra sede.

Come il calcio, contibuisce all’abbassamento del ph di mash ma è meno efficiente nel farlo, di circa la metà. Esso è indispensabile al lievito almeno nella misura di 5 mg/l. Per via della sua grandissima disponibilità nel malto è tuttavia sconsigliato avere un’acqua di partenza ricca di Magnesio. Esso infatti, se da un lato accentua i sapori, dall’altro viene percepito (a differenza del calcio) come molto amaro.

Come quantità mi sento di consigliare un minimo di 10 fino ad un massimo di 30ppm in linea generale.

Sodio

Poco prima del Magnesio sulla tavola periodica (numero atomico 11), il Sodio (Na) è pure lui un metallo alcalino molto reattivo, specie se disciolto in acqua. Forse potreste farvi pure delle bombe col sodio (magari anche quelle da palestra), ma per queste applicazioni vi lascio al sig. Walter White e ad un buon avvocato, che sicuramente non sono ignoranti in materia come il sottoscritto. Il sodio non si trova mai da solo in natura, perché è un tipo amichevole.

Birrosamente parlando, il sodio è associato al mouthfeel di una birra e alla sua pienezza in versioni dal basso EBC, specie se lager. Il sodio è contenuto in alte percentuali nell’orzo, dunque cauti con le aggiunte.

Un buon punto di partenza potrebbe essere 15/20 ppm a seconda dello stile, ma mai spingersi oltre le 100 ppm. Visto che si usa per salare la pasta, potete capire perché il risultato, in caso sforiate, possa sembrare salato. Poi se fate la gose scordatevi tutto ciò che ho appena detto, ma ricordatevi di aggiungerlo in bollitura.

Solfato

Lo zolfo ha numero 16 silla tavola periodica e simbolo S. Per le sue roprietà chimico-fisiche è un non-metallo e può essere presente in natura come Solfuro o Solfato. Lo zolfo ha un odore particolare, il classico “odore di zolfo”, quando legato con l’idrogeno (acido solfidrico); di per sè è inodore e insapore. La grande abbondanza di zolfo in natura fa sì che esso sia un elemento importante tanto per la nutrizione vegetale quanto per gli eterotrofi in virtù della sua presenza in amminoacidi e, di conseguenza, proteine.

A noi birrai interessano particolarmente i Solfati (SO4). Questi interagiscono principalmente col luppolo, determinando l’impatto dello stesso. Il solfato incide soprattutto con la percezione dell’amaro, sulla sua lunghezza e spigolosità. Può anche accentuare il sapore e l’aroma del luppolo, facendoli emergere maggiormente una volta che il prodotto si trova nel bicchiere del consumatore.

Su stili un po’ più delicati può partire dalle 20/25 ppm fino ad arrivare a 200/250 e oltre (persino 400) in birre con amari molto lunghi ed importanti. È bene, tuttavia, non esagerare, almeno le prime volte, con questo composto, come scrissi in questo articolo. Il solfato è da bilanciare e rapportare sempre col cloruro.

Cloruro

Il cloro ha simbolo Cl e numero atomico 17. Esso è un alogeno, una serie di elementi (tra cui fluoro, iodio etc…) che hanno caratteristiche completamente non-metalliche. Il cloro è un elemento molto velenoso e viene utilizzato come disinfettante, sbiancante, ossidante e anche reagente. Se tale elemento è molto pericoloso, lo stesso non si può dire per la sua forma in anione, il cloruro (Cl−). Il cloruro è infatti necessario a moltissime forme di vita data la sua abbondanza: dalle piante (come microelemento nutritivo) agli organismi del regno animale (discreta presenza nel sangue).

I cloruri, nella birra, evidenziano il carattere maltato. Possono donare, se sapientemente dosati (e rapportati coi solfati) una pienezza gustativa e una rotondità di gusto notevoli. Tutto ciò è ovviamente inteso in riferimento al malto.

Si può partire da una quantità di 50 ppm fino ad arrivare alle 200ppm. Tuttavia un aspetto al quale bisognerebbe porre particolare attenzione è la sua corrosività per l’attrezzatura, specie se acciaio. Come si sa, è la dose a fare il veleno e concentrazioni superiori alle 100ppm potrebbero causare problemi all’acciaio. Questo vuol dire che non dovremo superare tale quantità? Ovviamente no, ma di sicuro è sempre bene (e non solo in caso utilizziamo molto cloruro) sciacquare bene la nostra attrezzatura, una volta terminata la produzione. Concnetrazioni superiori alle 300 ppm (suggerisce Palmer) potrebbero portare a problemi a stabilità colloidale della birra, a torbidità e corpo. Essendo il cloro l’elemento che è, meglio ricordare che concentrazioni alte potrebbero causare ritardi fermentativi.

Carbonati

Il carbonio è un elemento fondamentale, in tutti i sensi. Il suo numero atomico è 6 e il simbolo C. Insapore ed inodore, è un non-metallo. Anche in virtù della sua facilità a legarsi con altri elementi è alla base della vita sulla terra ed è l’elemento per antonomasia della chimica organica. Sul carbonio faremo un approfondimento a parte. A noi in questa sede interessa il suo ruolo immediato nella birra in quanto acido carbonico (H2CO3).

Il discorso è complesso e necessitiamo perciò di un paragrafo in più. Ciò che viene comunemente detto bicarbonato in ambito brassicolo altro non è da intendersi che idrogencarbonato (HCO3-) ed è un anione dell’acido carbonico (H2CO3). L’idrogencarbonato può essere aggiunto sotto forma di sali detti carbonati (bicarbonato di calcio o bicarbonato di sodio) all’acqua di birrificazione. Detto ciò, qui di seguito continuerò a chiamarlo bicarbonato per facilità di comprensione da parte di tutti.

Il bicarbonato nella birra non impatta (a meno di dosi spropositate) minimamente sul profilo organolettico del prodotto finito. Non fatevi ingannarte però: ha un ruolo chiave in quanto bilancia la chimica di ammostamento. Come ho accenato prima (e approfondiremo nelle prossime puntate), il mash tende ad abbassare il ph. Il ruolo chiave del bicarbonato è dunque fungere da tampone. In chimica viene detto tampone, specie in riferimento ad una soluzione, un qualcosa che si oppone ad una variazione più o meno sensibile del pH. Capirete perché, dunque, possiamo affermare che indirettamente i carbonati nell’acqua di birrificazione contribuiscono al risultato finito. Si parla in genere di problemi derivanti da un ph troppo basso o troppo alto a partire dall’ammostamento: astringenza, opacità, amaro sgraziato, schiuma evanescente se il ph è troppo alto; difetti fermentativi, acidità, og troppo alta se il ph troppo basso.

La concentrazione di bicarbonati è estremamente variabile in funzione dello stile. Ciò perché malti meno tostati tendono a reagire con l’acqua in maniera più lieve e dunque ad abbassare di meno il pH. Dunque, in sostanza, birre più chiare richiederanno un contenuto ottimale di bicarbonato inferiore rispetto, ad esempio, alle birre scure. Poi, ovviamente, tutto dipende molto anche dalle quantità di calcio e magnesio disciolte. Il discorso non è semplice, per questo ci ritorneremo.

Indicativamente si può partire per certe lager da valori prossimi allo zero, fino ad arrivare a concentrazioni prossime alle 200 ppm. Si può usare anche acqua con 300ppm di bicarbonato, ma essa richiederà aggiunte di acido alimentare più spinte e sarebbe da usare solamente in combinazione a una buona dose di malto scuro.

Per oggi è tutto, alla prossima.

Iacopo Zannoni

Da sempre bevitore di birra, scopre quasi per gioco il mondo dell'homebrewing e ne rimane incantato. Paranoico, attivo e molto noioso, nella vita è attualmente un laureato in lettere con velleità editoriali. Nel tempo libero cerca di spacciarsi come macellaio.

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